Catalogo

Il nuovo catalogo generale

fotografia del volume EX VOTO

Il nuovo catalogo generale di tutti gli ex voto del santuario è disponibile

Finalmente è uscito l’atteso volume “EX VOTO Arte e fede nel santuario della Madonna del Bagno”, a cura di Antonio Santantoni Menichelli (questo il nome “letterario” del Rettore del Santuario, che vuole dimostrare con questa scelta, il suo affetto e la sua devozione alla madre, a cui si sente debitore non solo della vita, ma anche della sua fede e in grandissima parte della sua vocazione).

Un libro che mancava, come ci dicevano in molti; gente che sa apprezzare non solo il pregio del manufatto e la qualità del disegno e delle forme, ma anche, e forse soprattutto, il valore storico e culturale delle testimonianze del passato.

Sì, perché valore artistico, valore culturale e valore storico vanno di pari passo nelle 800 formelle in ceramica, quasi tutti ex-voto (PGR: per grazia ricevuta): esse ci parlano infatti della fede e della devozione fiorite intorno alla minuscola, semplicissima, modestissima immagine di una Madonna col Bambino contenuta in una piccola “tazza da bevere” risalente a qualcosa più di 350 anni fa.

Ritrovata per caso e gia gravemente danneggiata su un sentiero ai margini di un bosco, questa immagine seppe conquistarsi una improvvisa e rapidissima popolarita operando un miracolo a favore di una donna, la moglie di un modesto merciaro (commerciante) che si era presa la cura di mettere la Sua sacra Immagine al riparo “dal profano piede del vulgo” (U. Foscolo) e dagli zoccoli e dai piedi delle bestie che spesso battono le stesse vie dell’uomo (cavalli, asini, muli, buoi, cinghiali, cani…).

Questo primo miracolo è documentato sia dall’ex voto, contemporaneo al fatto (come lo sono del resto tutti gli altri, i quali normalmente vengono eseguiti sempre entro i primi due o tre anni dall’evento), sia dal verbale della deposizione rilasciata dal protagonista, certo Cristofono di Casalina, durante il processo istruito per stabilite la legittimità del culto alla Sacra Immagine, e oggi conservato in originale nell’archivio storico dell’abbazia di San Pietro in Perugia.

Dopo quel primo miracolo molte altre grazie sono state concesse per l’intercessione della Vergine invocata sotto quello “strano” titolo di Madonna del Bagno, poi cambiato in Madonna dei Bagni (chissa poi perché, visto che nella zona non si è mai parlato né di terme né di bagni cultuali di qualsiasi tipo). In realta quel titolo non era affatto strano, ma trovava la sua spiegazione proprio nel nome della localita dove il fatto è avvenuto: il Bagno, nome dovuto a “una sorgente d’acqua che pende nel bianco”, che nei pressi della quercia scaturiva. Quello fu il suo primo nome, quello autentico e filologicamente accertato e che ormai da una ventina d’anni è tornato al dovuto onore che gli spetta.

E col moltiplicarsi delle “grazie” ci fu anche il moltiplicarsi degli ex voto in ceramica che ora sono la ragione di tutta la sua fame e la sua pur modesta gloria, come pure di tutte le sue croci (parlo qui dei furti che l’hanno recentemente privata di una parte rilevante della sua collezione). Da allora tutta una galleria di oltre 1100 figure umane, a cui fanno contorno una novantina di immagini di animali per lo più domestici, che danno vita alle centinaia di scene di vita quotidiana nel suo evolversi lungo i tre secoli e mezzo che ci separano da quei fatti.

Sono immagini di vita vissuta, quotidiana o straordinaria, nelle quali il posto di gran lunga preponderante è occupato dai pericoli, dalle disgrazie, dalle malattie, o dalle paure della gente comune: pericoli, paure, incidenti che cambiano di specie e di natura col passare del tempo e col mutare degli stili di vita: alle incornate dei tori, ai calci dei cavalli, agli schioppi e ai coltelli dei briganti, si sono sostituite le macchine che travolgono le biciclette, i camion e i furgoni che si rovesciano sulle strade o giù per le scarpate; ai cerusici che si appressano ai letti dei malati, succedono oggi le sale operatorie per gli interventi a cuore aperto o per i trapianti; alle esondazioni del Tevere e ai fulmini che si abbattono sulle case e sui malcapitati in campagna, le scene di guerra e i reticolati dei campi di prigionia, e le esplosioni delle bombe o delle mine.

Scene per una Umana Tragedia che sarebbe molto bello scrivere e che qualche volta sarei tentato di tentare…chissà?

Ecco ora tutto questo ricchissimo materiale iconografico è disponibile sul pregevolissimo volume appena apparso e gia disponibile al Santuario e presso la Parrocchia di Casalina. Il prezzo di copertina è di tutto “rispetto”, € 150, ma questo è il prezzo per chi lo andrà ad acquistare nelle librerie d’arte. Per i devoti del Santuario lo si potrà ottenere con l’ottimo sconto del 53,3%, al prezzo finale di € 70. Non poco, è vero, ma si vorrà tener conto che, per buona parte, questa cifra andrà a sostenere la comunità Caritas che in quel Santuario vive e opera, e che tanti meriti si è acquistata nei quattro anni che ormai vi ha trascorso. Tutta l’area ha cambiato volto, e chi vi arriva, ha come l’impressione di entrare in un altro mondo, dove l’unico rumore molesto è quello dei mezzi che percorrono la superstrada sottostante, e dove ogni cosa si trova esattamente al suo posto, ben ordinato e ben tenuto.

Ecco, per ora mi fermerò qui. Il prossimo mese, in occasione dell’8 marzo, giorno tradizionalmente reso solenne, al Santuario, dalla presenza dell’Arcivescovo e della numerosa rappresentanza delle associazioni femminili cattoliche, dirò di più sui contenuti del libro. Metterò in risalto la grande importanza, assolutamente preponderante, che negli ex voto del nostro Santuario hanno le figure femminili, che vi appaiono come le vere sacerdotesse di questa devozione. E dunque alla prossima.

Casalina, 31 gennaio 2011

Don Antonio Santantoni

Rettore

Indice

La Madonna del Bagno. Il gioiello nascosto nel bosco

di Antonio Santantoni

In un libro di grande pregio a cura del nostro collaboratore don Antonio Santantoni, Rettore del Santuario.

Ci passi davanti mille volte correndo distratto, la macchina lanciata verso la sua destinazione. La vedi e ti dici: “Oggi no, ho troppa fretta”. Ma sai gia che la prossima volta andrà ancora così, come sempre. Così quella chiesa rimarrà ancora per te un tesoro negato: che tu neghi a te stesso.
Sto parlando del piccolo Santuario della Madonna del Bagno (tuttora più noto come Madonna dei Bagni) nel territorio di Casalina, piccolo antico borgo medievale lambito dalle acque fatali del Tevere sulla sua riva sinistra, in provincia di Perugia, nel comune di Deruta.

Non più di un villaggio (villa nel linguaggio medievale), ma un villaggio che può vantare e rivendicare un titolo importante e glorioso nella sua storia: Villa dei Franchi, (Villaggio degli Uomini liberi), come fu dichiarata nel 1270, quando di nomines franchi ce n’erano molto pochi in Umbria e in Italia e perfino in tutta l’Europa (la servitù della gleba scomparirà definitivamente soltanto agli inizi del XIX secolo).

Chi scrive è rettore di questo piccolo Santuario. è stata una grande passione e una grande croce. A lui è toccato in sorte di vedere il momento più doloroso della sua storia e di conoscere la gioia della sua rinascita, il desolato squallore della sua profanazione e la sua seconda primavera dopo il gelo d’un inverno durato sette anni. L’ha vista prostrata, violata, stuprata, mutilata. Con tutte le sue forze ha voluto farla risorgere per vederla più bella di prima. Anzi: più bella che mai. E il risultato è andato oltre ogni sua speranza.

Per chi ama lasciarsi sedurre dai tesori nascosti

Al Santuario si arriva lasciando la E 45 all’uscita Casalina per chi viene da sud e all’uscita Deruta Sud per chi viene da nord. Per tutti, che si venga da sud o che si venga da nord, si arriva al cavalcavia che permette di oltrepassare la superstrada e subito ci si trova davanti al cancello sempre aperto che immette nei cortili e nei piazzali che circondano la chiesa.

Entrando nel Santuario il primo moto è di assoluto stupore: c’è perfino una piccola cupola! Niente ne tradiva la presenza al di fuori. Che si trattasse d’una chiesa lo capivi solo dalle due campanelle del grazioso campaniletto a vela e da una lanterna al centro del tetto che ti faceva pensare a una presa di luce.

Ma subito un altro stupore ti conquista: le centinaia e centinaia di formelle in ceramica, le famose “mattonelle” come le chiamano qui: sono gli ex voto, vanto e gloria di questa chiesetta, che se fosse ad Assisi o a Spoleto godrebbe anch’essa d’una notorietà mondiale.

Allora ne vuoi sapere di più, e magari si acquista la piccola guida che racconta la storia e introduce alle bellezze della chiesetta (A. Santantoni, La Madonna del Bagno. La chiesa – L’historia, 3° edizione, p.43).

Per i lettori del Giornale dell’Umbria, che leggeranno questo articolo, ecco molto brevemente, ciò che bisogna sapere, visitando la chiesetta sul limitare del bosco del Bagno.

L’origine della “devozione” e della chiesetta

Tutto incominciò qualche anno dopo il 1650. Un frate cappuccino, scendendo per il sentiero che dalla Rocca di Casalina scendeva verso Deruta, scorse in terra i resti malconci di una “tazza da bevere”, una di quelle piccole tazze che i viandanti tenevano sempre nella loro bisaccia, per servirsene a una sorgente o a una fontana.

Il buon frate, vedendo che nel fondo di quella tazza era dipinta la Madre di Dio con il Bambino Gesù, perché la sacra immagine non avesse a essere calpestata e profanata, la raccolse e la collocò sulla biforcazione di una giovane quercia lì accanto, affinché qualcuno, vedendola, le dedicasse un saluto e una preghiera.

Il già malandato “coccetto” dovette cadere ancora più e più volte, finché un merciaro di Casalina, certo Christofono (Cristoforo), un giorno non si risolse a fissare con dei chiodi la minuscola immagine alla quercia.

Proprio lo stesso merciaro, nel marzo 1657, passando ancora una volta davanti all’immagine, volle raccomandare a Maria la moglie che aveva lasciata a casa gravemente malata, tanto che temeva di non trovarla più in vita al suo ritorno. E fu così che la sera, tornato finalmente a casa, la trovò “fuora di letto con perfetta sanità e che scopava la casa”.

La notizia del “miracolo” si diffuse con la velocità del baleno e subito incominciò il pellegrinaggio alla “Madonna della quercia” o alla “Madonna del Bagno”, come subito fu chiamata dai devoti. Le due denominazioni si contesero l’onore dell’ufficialità del nome, ma la seconda prevalse sulla prima. Di Madonna della quercia ce n’erano gia altre non troppo lontane da Deruta: a Viterbo (la più famosa) e da poco tempo anche a Monte San Savino. Così si optò per Madonna del Bagno, dove Bagno sta per il nome del vocabolo di quel piccolo pezzo di terra fra Casalina e Deruta, chiamata così a causa di polle d’acqua “biancastra” che affioravano costantemente dal terreno. E fu “Madonna del Bagno”.

Gli sviluppi della nuova devozione

Il culto della minuscola immaginetta su ceramica, si fece subito imponente: si pensò subito di erigere sul posto una piccola cappella che accogliesse al suo interno la giovane quercia: cosa che ebbe per la quercia l’effetto d’una condanna a morte e per contrasto una vocazione all’eternità. Infatti, mentre delle sue coetanee, tutte finite probabilmente sul fuoco o a formare qualche rustico mobile, non resta ormai nulla, essa si conserva ancora, per quanto scheletrita e spoglia, e fa tuttora bella e commovente mostra di sé, incastonata com’è fra una mensa d’altare e la solenne mostra barocca che la sovrasta.

Le autorità religiose si posero presto il problema dell’approvazione ufficiale del nuovo culto e decisero di procedere a un processo che ne verificasse le condizioni. Ci sono pervenuti i verbali di sedici deposizioni di fedeli beneficati dalla Madonna del “coccetto” del Bagno. Il processo, avviato alla fine del settembre dello stesso anno e si concluse un mese dopo. Durante tutto quel tempo l’albero, spogliato di tutti i segni di devozione che gli erano stati appesi, era stato sottratto alla vista del fedeli da una robusta palizzata di legno.

Il processo terminò, con la piena approvazione del culto (28 ottobre 1657). Il felice esito del processo fu celebrato con una solennissima festa di popolo nel mese di marzo successivo. Protagonisti della festa i fuochi che nella notte della vigilia, per tutta la valle da Todi a Perugia, sembrarono mettere “in concorrenza la Terra col Cielo”. Bellissima immagine!

La piccola cappella, poco più grande dell’attuale presbiterio, conteneva la quercia e tuttora ne contiene ciò che resta: il “pedone” e i due rami principali, stranamente a X – era pronta per la fine di marzo dell’anno successivo, e il 25 marzo, “Festa dell’Annunziata”, vi fu celebrata la prima messa.

Ma dovette apparire subito troppo piccola se appena 29 anni dopo (e a 30 esatti dal fatto miracoloso) fu inaugurata la nuova Chiesa, quella che, salvo qualche secondario aggiustamento, è visibile ancora oggi: pianta quadrata, nella quale è inscritta una croce greca, con piccola cupola completamente ricavata e contenuta nella soffittatura e sostenuta da quattro possenti pilastri a pennacchio, coperture a volta, archi a tutto sesto; ricco e nobile altare maggiore barocco, due begli altari laterali, una piccola e mistica cappellina anch’essa a volte e ricavata da una vecchia cantinetta, una dignitosa sacrestia a volte.

E poi il grande tesoro della chiesetta: le 800 formelle votive (ex voto) che tappezzano in gran parte le pareti della stessa.

Questo è ciò che attende l’ammirato visitatore che infallibilmente rimane ammirato e quasi incredulo entrandovi per la prima volta.

Gli Ex Voto (le famose mattonelle)

Ormai ci resta da parlare solo degli ex voto il vero grande unico tesoro della piccola chiesa. Sono ben 800, e ricoprono 356 anni di storia, (a cui van tolti i cent’anni del XIX secolo che ci ha lasciato solo due ex voto). Ottocento scene di vita vissuta, che ci riferiscono della vita, dei costumi, dell’arte, della fede e della lingua degli abitanti di questo piccolo angolo della media valle del Tevere con la freschezza, la sincerità, l’ingenuità, la verità, la poesia che solo l’arte popolare sa trasmettere alle generazioni che verranno.

Passando in rassegna quei “quadretti” di vita è come se ci vedessimo passare davanti, alla moviola, altrettanti fotogrammi di vita vissuta, un documentario sulla vita di chi ci ha preceduto.

Il visitatore guarda ammirato e ritrova qui come due mondi: uno lontano e gia quasi dimenticato, l’altro conosciuto e attuale. Un bambino può invece incontrarvi animali che forse non ha mai visto se non in televisione o al cinema (il bue, il toro, l’asino). Anche l’adulto vede cose che sente nominare spesso, che nomina lui stesso, ma di cui forse ignora la terribile carica di crudelta e di barbarie (la gogna), o da ricercare oggi soltanto nei libri o nei documentari sui tempi andati o nei paesi primitivi, come la barca per attraversare il Tevere (quando i ponti scarseggiavano) col traghettatore che si teneva aggrappato a una corda tesa tra una sponda e l’altra del fiume, perché la furia della piena non trascinasse via l’imbarcazione col suo carico umano.

è di quel mondo che ci parlano ancora le formelle della Madonna del Bagno, facendocelo rivivere. Di un mondo piccolo, antico, di cui si va perdendo la memoria. E sarebbe un peccato se la perdessimo del tutto. Passando da un ex voto all’altro, quel mondo lo ritrovi intero, fra quei muri senza tempo, e riesci a sentirtelo ancora tuo. Sempre che tu abbia una certa eta. O, almeno, se ti piace l’arte e se l’arte riesce a trasferirti nel tempo e nel mondo dove affondano le tue radici.

Ecco allora quel mondo che ti si squaderna davanti: la casa con le sue corti e le sue stanze, i letti con le cortine contro le zanzare e la malaria, la stalla con le sue bestie, i pozzi e le cadute nei pozzi, l’aia dei contadini e i pagliai che vanno a fuoco, i briganti col coltellaccio e lo schioppo, l’epilessia (“chasschò del brutto male”), gli indemoniati e i diavoli scacciati dall’esorcismo del prete in cotta e stola e aspersorio, gli abiti dalle fogge per noi strane, gli animali domestici, i bambini malati e uno addirittura morto e risuscitato, i carriaggi, l’altare, la guerra, il fiume, il paesaggio, i fulmini micidiali e frequenti, le bombe che esplodono, i caccia bombardieri che seminavano terrore, il terremoto, la chirurgia, il parto sulla sedia con la levatrice che, senza guardare, aiuta la partoriente vestita di tutto punto, con le mani che lavorano “a memoria e a tatto” sotto le amplissime vesti, le prigioni con il prigioniero dietro le sbarre e la moglie o la mamma che prega per lui la Madonna, le gabbie della gogna e la gogna alle caviglie e il disgraziato a capofitto nel vuoto; e le incornate dei tori, l’aggressione dei cani, le bizze dei cavalli che disarcionano i cavalieri o che scalciano i malcapitati padroni, i soffitti che crollano, gli alberi e le cadute dagli alberi da frutto e dai pioppi dove si saliva a fare (cogliere) “la foglia” per le bestie, il deschetto in fiamme del calzolaio, i preti al capezzale dei malati o inginocchiati a invocare essi stessi la Madonna, le piene del Tevere, i guadi pericolosi, i numerosi episodi di violenza armata (schioppi, fucili, asce, pugnali, roncole) e l’interminabile teoria di mattonelle con uno, due, tre, fino a otto oranti: ora in piedi ora in ginocchio e sempre e tutti con il rosario in mano a supplicare la Vergine.

Oggi nelle mattonelle più recenti dominano gli incidenti con mezzo di trasporto a motore (auto, moto, furgoni, scooter, ecc.) e fanno apparizione treni, aerei e sale operatorie. In compenso sono scomparsi del tutto i casi di violenza privata e di brigantaggio. Come sono scomparsi del tutto i fedeli inginocchiati a invocar la grazia o a ringraziare per la grazia ricevuta, con o senza il rosario in mano. Un particolare, questo, di non poco conto per un’analisi antropologica e per un discorso di fede su questi manufatti.

L’importanza degli ex voto per l’antropologia culturale

L’importanza degli ex voto per la conoscenza di una società e dei suoi costumi è universalmente riconosciuta per le tre branche del sapere umano ricordate nel titolo.

Qui si parlerà solo di ciò che quelle immagini e quelle figure, espressione d’un’arte non particolarmente raffinata, riescono a dirci non tanto dal punto di vista artistico, quanto dal punto di vista culturale e religioso: punti di vista che confluiscono nella più vasta categoria dell’antropologia culturale per un discorso sull’uomo.

è la prima cosa che balza agli occhi e alla mente è questa dichiarazione di totale affidamento di sé stessi al Divino inteso come persona capace di conoscere, giudicare, amare, volere, agire. Non come forza lontana, indifferente alle vicende umane, (l’aristotelico motore immobile o il deismo degli illuministi), ma come un Qualcuno con cui si entra in relazione personale, cioè fra persone. Io la creatura, e Lui, il Creatore, come l’Altro; io, il povero e il debole che non basta a sé stesso, e Lui l’Onnipotente, il Signore che ha promesso d’essermi sempre presente ad accogliere la mia preghiera, a venirmi incontro in tutte le mie necessita: io e lui in un rapporto che sa tener conto della differenza che intercorre fra noi due, ma che la supera nella misura in cui alla creatura è dato di nutrire, con il Divino, un rapporto alla pari, per quanto alla pari potrà mai essere il rapporto fra padre e figlio, fra maestro e discepolo, fra creatore e creatura, fra salvatore e salvato.

Da quelle figure inginocchiate, da quei malati stesi sul loro letto di dolore e di paura, da quelle centinaia e centinaia di corone del rosario esibite, quasi a mostrare la ricevuta di un pegno che ora si chiede indietro, appare evidente la speranza, anzi la fede che quella preghiera potrà essere ascoltata, che sara esaudita. La Madonna fra i rami dell’albero e la corona fra le mani dei supplici tribolati sono i due momenti dialettici del rapporto fra la potenza e la debolezza, fra il Signore dell’universo e la creatura povera di tutto. Dietro quelle figure, tenere e ingenue, c’è tutta la storia della salvezza e la grande lezione della Croce.

“Donna, ecco il tuo figlio” dice Gesù alla madre dall’alto della sua croce. “Ecco la tua madre”, dice poi al discepolo, subito dopo, a far completo il discorso e a stabilire l’alleanza. “E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv19, 26-27).

Dunque la Madre di Gesù dovrà ormai essere madre a tutti noi; dunque il discepolo Giovanni (e i discepoli tutti dopo di lui: così ha letto quelle parole la tradizione cristiana), dovranno ormai guardala, ascoltarla, e sentirla come madre a ciascuno di loro propria.

Ed ora eccola lì la Madre, col figlioletto in grembo che guarda alla mamma che gli parla, forse a richiamarlo e a invitarlo a far caso a quello che sta accadendo intorno a lui: distolga un momento lo sguardo dal grande mondo che tiene in mano, e si concentri su quel poveretto, su quella donna in ginocchio, su quella famiglia in preghiera, che col rosario in mano invocano l’intercessione della Madre comune.

Quelle formelle, grondanti di dolore e di speranza, di lacrime e di fiducia, sono la prova che il discepolo ha raccolto la parola di Gesù morente, e tuttora continua a far conto sulla protezione della Madre.

Sembra proprio questo il messaggio che quelle formelle, spesso commoventi nella loro ingenuità, ci trasmettono ancora oggi, dopo averci aspettato per secoli, se solo vorremo metterci in ascolto: una voce umile e discreta, la loro, cui la bellezza e l’umiltà della chiesetta nel Bosco del Bagno sembra fare da possente e dolcissima cassa di risonanza.

Casalina, 24 aprile 2011

Antonio Santantoni

Indice